giovedì 27 febbraio 2014

Asterisco #2

OGGI HO SBAGLIATO I CALZINI!


No, a dir la verità li ho indovinati. Anzi, li ho azzeccati. Erano abbinati bene al pantalone che avevo scelto. Il quale, però, ho deciso di cambiarlo. 
Per due motivi. 


Il primo: mi stringeva un po', sto ingrassando. Mia moglie mi dice che “non è vero, è la tua impressione”. La circonferenza del pantalone mi dice che mia moglie ricorre ad un sistema metrico forse troppo indulgente. 
Il secondo: mi va anche un po' corto. Quando cammino mi si vedono i calzini, e la cosa mi farebbe sentire a disagio e camminerei come Walter Matthau. Sarò forse diventato più alto? E' improbabile. Magari è proprio l'indumento stesso a fare brutti scherzi, e allora mi sento in colpa perché ho dubitato del sistema metrico di mia moglie.
Era un pantalone beige. Calzini, ovviamente, in tinta, un beigiolino-giallino chiaro, discreto. Cambio pantalone, ne metto uno marrone, il solito, comodo. Non cambio i calzini, me ne dimentico. Quando mi siedo mi si vedono solo le caviglie. Risaltano sull'insieme che è un orrore. 
Faccio il disinvolto, e quando faccio il disinvolto io, pare che un apparato di frecce lampeggianti al neon cominci ad indicarmi con effetti luce intermittenti. 
Chi mi guarda pensa: quel tizio ha sbagliato i calzini. 
E fa pure il disinvolto.
E' questo che non mi spiego: i calzini erano giusti. Lo erano fin dall'inizio. Perché a nessuno verrebbe da pensare: hei, guarda che buffo quel tizio, ha sbagliato i pantaloni!
E allora mi pronuncio in difesa dei miei calzini! Sono giusti. 




Sono pure comodi, tra l'altro, freschi, di cotone, giusto l'elastico è un po' lento e ogni tanto mi calano, ma vuoi mettere che piacere e che sensazione di appagamento quando me li tiro su? Il polpaccio e la caviglia si fondono in un'armoniosa carezza. Sono giusti e basta. E' il resto che non va.

Ok, lo dico: sto così perché ho fatto il test. 
Anzi, il Test. 



Sì, quelle robe psico- attitudinali, con domande a scelta multipla: sì, no, forse. L'azienda  vuole conoscere il mio profilo, vuole entrare nel mio animo più profondo, vuole sapere se conservo delle lampadine di ricambio. 
Una delle duecento e passa domande era proprio “hai delle lampadine di ricambio?”. E che diavolo ne so io se ho delle lampadine di ricambio!


Dico sì? Sarebbe giusto: me ne mancavano due, mio suocero è passato in ferramenta e ne ha comprate un po' di più perché erano in offerta. 

Dico no? Sarebbe giusto lo stesso: mica le ho prese io, altrimenti, poi, uscirebbe il profilo di mio suocero, che a profilo è un bel po' più panciuto di me. Con buona pace dei pantaloni beige. 
Dico forse? Sarebbe sempre giusto: che ne so io se ce ne sono ancora, non so nemmeno dove le ha ficcate, o se magari se le è portate a casa sua, che gli servivano, o se, più probabile, mi sto inventando tutto e ha comprato solo quelle due che mi servivano. Una domanda, tre risposte esatte. Moltiplica per duecento e passa domande, fatevi i conti di quanti profili attendibili uscirebbero.
Sì, ma la risposta che conta è quella che dai. 
Ah, sì? 
Rifacciamolo allora, e rifacciamolo anche domani, anzi, dato che mi piace da morire fare il test, facciamolo tutti i giorni e vediamo se do ogni giorno la stessa risposta. 
Allora hai una personalità multipla, complessa

(E qui mi verrebbe da porgere i sentiti ringraziamenti ad un ben noto ortaggio!)

Vabbè, è evidente che sono indisposto e indignato per il test. Ci pensavo e ci ripensavo questa mattina, e continuavo a rimuginarci su che alla fine ho scordato di cambiare i calzini. 
Ma certo, cosa vuoi, nessuno pretende di attribuire un'esattezza diagnostica ad un test psico- attitudinale. Serve solo per tracciare “un profilo”. Ecco cosa sono diventato: ora l'azienda ha il mio profilo e io sono quel profilo. 

Spero solo sia quello giusto. Anche Harvey Dent di profilo era bello.


E' come con i calzini. Vallo a spiegare che erano giusti, che tutto il resto era fuori posto. 

Tra le domande ce n'era una: “ti capita di sentirti un pesce fuor d'acqua?”. Come avrei dovuto rispondere? Ho risposto “Sì”. La risposta più semplice. Anche perché poi scatta la paranoia del trabocchetto: se dico sì sono un emarginato, se dico no un conformista, se dico forse un inconcludente. Alla fine ho scritto sì, mi sento un pesce fuor d'acqua.

La verità è che, a volte ho la sensazione che un maleodorante branco di mammiferi stia invadendo il mio acquario.


Bedlam Club #2

MAN ABBAK? (THE PASSION OF THE CHRIST - 2004)





Questione di principio.
Già che si faccia una questione in merito a un principio, la cosa mi confonde un po’. Un principio dovrebbe essere un punto fermo, c’è poco da questionare. 
Fortunatamente il mio amico Nicola Pozzarelli ha un modo tutto suo di intendere la cosa.


Il principio è il primo punto di un segmento, l’inizio di un qualcosa iniziabile. 
Niente a che vedere con quel concetto più nobile di fondamento o base di ragionamento o dottrina o norma etica e morale, o tutte quelle altre robe lì tutte belle e pulite. Nicola pensa in modo strutturale (a differenza del Sottoscritto che ha un ripescaggio cognitivo molto random).
Un principio è un punto di partenza. 
La causa prima.
In principio era il Logos. 

“Guarda oltre” mi diceva sempre, “cerca l’origine, il principio, la base di tutto”
Non è mica semplice. E’ un percorso a ritroso, mentre la vita galoppa nella direzione detta “Avanti”. Ragionare come Nicola significa andare contromano nell’autostrada dell’esistenza. Una cosa da pazzi. Ecco perché il cinema, in quanto strumento di introspezione partorito dalla follia, è la pietra filosofale che trasforma la visione in analisi, lo sguardo in meccanismo e il mais in popcorn.
“Impara a guardare cosa c’è dietro, cosa c’è prima, cosa è causa. Esplora il significato metaforico della paternità. E’ il segreto di ogni cosa.”
Sembrava un profeta sull’eremo. Dovreste sentirlo al Sigma quando spiega alle casalinghe le proprietà fosforiche del pangasio e i tempi di cottura del cacciucco.
Ricordo ancora lo smarrimento di quel pomeriggio mentre snocciolava le sue idee su ciò che è e ciò che non è principio. Ci conoscevamo da poco. Il nostro fu un incontro casuale nello stradone di Cerciabella, un semplice quanto cerimonioso scambio di cortesie (prego... dopo di lei... no, si figuri... ma le pare...) davanti al cassonetto della differenziata che a bocca aperta smaniava, guardando ora l’uno ora l’altro nell’attesa di fagocitare il nostro resto quotidiano. E in quel mentre, non so come né perché, finimmo col parlare delle meccaniche oscure della vita, le quali, in quanto oscure, necessitano di chiavi che ne dischiudano l’essenza. 
“Il cinema è la chiave”
“Il cinema?”
“Certamente”
“Ma quale, il Multisala Giacomini o il Corso?"
“Ma non il cinema in quanto edificio adibito alla proiezione. Il Cinema in quanto arte.”
E in quel momento, per la prima volta in vita mia, compresi due cose.
Tre.
Tutte contemporaneamente. Un record.
La prima: il cinema è un’arte. Forse per altri non c’è rivelazione in questo, ma il Sottoscritto ha i suoi tempi...
La seconda: la suddetta arte è una chiave che se girata bene, nella giusta serratura, è in grado di dischiudere l’essenza stessa della vita - concetto sbalorditivo per uno già a disagio alla sola idea di cambiare una ruota bucata.
La terza: mai gettare l’umido nel contenitore della plastica. Solo che non mi ricordo bene il nesso...
Era un piacere ascoltare quell’omone baffuto, in calzoncini, canottiera e ciabatte e un enorme paio di vecchi occhiali marroni, con la stecca destra fissata al resto da un cerotto. Ogni giorno ci si incontrava davanti alla solita vorace fila di cassonetti, aggiungendo di volta in volta particolari sempre più specifici in merito alla sostanza di quell’argomento per me nuovo e stimolante, il cinema in quanto strumento per decodificare l’esistenza.
“Ci vuole metodo”, diceva. E il metodo era questo (più o meno): individuare un principio, un inizio, e procedere per assonanze, associazioni e analogie. Concetto chiaro quanto una lirica in lituano. 
“E’ il segreto di ogni cosa. Bisogna partire dal principio”
Per aiutarmi a comprendere, un pomeriggio mi prestò una sua vecchia VHS. I bei tempi delle VHS...


“Lo conosco, parla di Nostrosignore”
“Cos’altro sa di questo film?”
In realtà ben poco. Avevo sentito dire che si trattasse di un film molto violento, uno sguardo sadicamente indugiato sul supplizio e la passione di Cristo. 
Lo guardai. Faticosamente, ma con curiosità. Il primo ostacolo fu ovviamente la lingua: i dialoghi parevano scritti dai Tazenda. Ma la difficoltà maggiore era scovare in quei brandelli di carne strapazzata i meccanismi analitici di cui parlava Nicola.
“Scarnifichi, scarnifichi, vada all’osso”
Per poco all’osso non ci finiva quel povero Cristo fustigato in latino...
“Rifletta sulla domanda...”
“La domanda?”
Già, la domanda. 
Le lezioni di Nicola cominciarono quel giorno, con quella domanda. Chi avrebbe immaginato che quell’inizio da proscenio differenziato plastica-vetro-umido avrebbe portato un giorno alle lande del Bedlam Club? 
Il nocciolo della questione era tutto lì. Ancora oggi, a ripensarci, i miei nervi già declamano recitanti quelle strane sillabe: “man abbak?
“Signor Nicola, io non capisco... cosa vuole dire?”
“Non ha capito? Il senso del film è tutto il quelle due parole, quelle che il diavolo pronuncia nella notte durante le preghiere nel Getsemani. Man abbak, chi è tuo padre? Ha colto la profondità di questo interrogativo?”
Ero perplesso. E’ vero che conoscevo Nicola solo da qualche giorno, e ancora ci si dava del Lei, ma non immaginavo certo che si fosse di colpo dedicato alla dottrina. Non che mi stupisse, il suo eclettismo talvolta spaziava collegando con strane tangenziali il Mundus Symbolicus in Emblematum Universitate Formatus del Picinelli con i Rotoli di Qumran e le avventure di Holly e Benji.
A chi si riferiva Nicola? Chi era il padre di quel Cristo lì? 
“Ci ragioni un po’ su, e lasci che la mente proceda per libere associazioni. Questo è il metodo.
Forse tale metodo era davvero scientifico, ma probabilmente mi mancava ancora un po’ di esperienza, dato che le libere associazioni di cui sopra mi spedirono dritto dritto (non ci crederete, ma è così!) tra i molleggi di Celentano. 
Mi sforzai di applicare il metodo, con abilità limitate ed acerbe. Provai a rispolverare qualche nozione catechistica. Pensai alla Prima Persona della Trinità, ma poi mi ricordai che Trinità era già una Persona. Da qui, forse, l’espressione “Uno e Trino”. Nonostante i Supremi Poteri divinamente conferitigli (tra cui l’abile uso della pistola, un gran bel cavallo col carretto e un allegro motivetto fischiettato e finito nelle suonerie di milioni di cellulari), 

fu inspiegabilmente retrocesso nel grafico cine-teologico a Don Camillo (con la moto) 



e poi spiaccicato su RaiUno a fare Don Matteo (in bicicletta!). 



Percorso inverso, invece, per quello della Persona Trinitaria di Bambino,


che da Sacro Pargolo si elevò a Divino Insetticida (acciaccando a cazzotti le mosche di velluto grigio portando su di sé il nome di Diomede. Per gli amici... Dio).



Quanto allo Spirito Santo... Pensavo a Vassili Karis e le Cinque Magnifiche Canaglie...


Nicola mi stoppò in tempo, prima che mi impantanassi nelle mie follie.
“Non sto parlando di teologia. Parlo di cinema.”
Anch’io credevo stessi parlando di cinema. Intuii comunque di essere fuori strada.
“Ah, ho capito. Allora il padre di quel Cristo-Caviezel era Colui il Quale parlava col Figlio fatto Uomo dalla dimensione remota di una voragine spazio-tempo... attraverso il baracchino scassato di Frequency... E con la faccia di Dannis Quaid...”
Ma... (riflettevo)... Ma Dannis Quaid non è quello che ha fatto Benvenuti in paradiso e Cartoline dall’inferno? Inferno e paradiso... Il bene e il male...
Rimuginavo: “Ora che ci penso ha fatto anche Legion. E Legione non è uno dei nomi del demonio?... Ah, ecco perché quell’altro film... Lontano dal paradiso...”
“Ancora non ci siamo...”
“E allora il padre è Dan Brown, che ha celebrato le nozze tra il ‘figlio’ e la Maddalena, cioè Monica Bellucci, che nella ipotesi futuristico-cristologica di Matrix era sposata col Merovingio, quindi discendente del Gesù di Brown, il quale, come un moderno Edipo, se la faceva con la sua tris-tris-tris-nonna, ma poi c'è rimasto male perché lei pomiciava con ‘l'Eletto’, che mi pensavo fosse Nostrosignore e invece era quello di Piccolo Buddha, che ovviamente era di un’altra religione (e sarebbe presto finito sul divano della vita in diretta a parlare di matrimoni misti)”
“No, no, no...”
Il fatto è che invece di ascoltare cercavo di anticipare le parole di Nicola per sembrare più intelligente. E ogni volta facevo la figura del cretino. Ce la stavo mettendo tutta per capire dove volesse arrivare. Alla fine mi arresi e predisposi il mio animo alla Rivelazione Cosmica di Nicola: “Il Padre vero nel film The Passion, l’Abbak evocato dal Sacro Quesito, altri non è se non l’Occhio che indugia, pietoso e curioso, sulle ferite della Redenzione, la Mano che impugna il maglio del Supplizio, il Colpo che affonda sul Chiodo del Peccato...”
?
“Mel Gibson!”
Eeeehhhh???

Mel Gibson? Lo sbroccato di Arma Letale? Allora non avevo capito un fico secco! Niente Terenzìlle, niente baracchino, niente mosche di velluto e... al diavolo pure Holly e Benji! Il mio debole sapere associativo barcollava di fronte a questo nuovo elemento intruso. Che zibbero c’entrava lo sbroccato letale con il Redentore? Perché era lui il padre abbakkio  (che non c’entra niente con l’Agnello che toglie i peccati) che tanto interessava a Nicola?
Mi sentivo confuso. 
Ero ancora acerbo alle meccaniche del metodo. Presto sarebbe divenuto la struttura metronòmica che avrebbe scandito il resto della mia esistenza interiore. Ma in quel momento era solo smarrimento, senso di alienazione e tanti interrogativi.
Alla fine compresi solo due cose.
Anzi, tre.
La prima: Nicola Pozzarelli, il mio nuovo amico esperto di cinema nonché addetto al banco pesce del Supermercato Sigma di Cori, sarebbe stato Colui che avrebbe guidato il Sottoscritto verso la folgorante luce del Sapere. E il percorso verso la luce sarebbe stato irto di ostacoli. Il primo d’essi: il significato della parola “irto”, che ignoro completamente.
La seconda: di tutto il film ciò che interessava a Nicola era soltanto quella domanda aramaica, niente di più, e quella domanda, da lì in avanti, sarebbe stata per Nicola il baricentro di ogni pensiero.
La terza: forse non avevo capito cosa c’entrasse Mel Gibson in questa storia, ma ero quasi sicuro (e non per libera associazione!) che il padre di quella satanassa fosse Joan Lui, il più scrauso di tutti i gesucristi della storia del cinema.